giovedì 8 aprile 2021

TESORO

 



 

- Klara, mi allacci le scarpe?

- Perché, dove devi andare, tesoro?

- Vorrei uscire.

- Lo sai che non puoi. C’è un livello di radiazioni ancora troppo alto. È rischioso.

 

È così da due mesi. Chiedo e lei mi risponde di no.

Mi mostra grafici, dati, tabelle, curve. Mi spiega con pazienza che devo stare ancora rintanato qui.

Mi chiama “tesoro” alla fine di ogni frase.

Che poi, ho vaghe reminescenze del fatto che le radiazioni smettano di essere pericolose soltanto dopo n-mila anni. Siamo molto lontani.

Nel mese di novembre, un fortissimo boato squarciò la notte del nostro piccolo angolo di beatitudine. Erano all’incirca le due, quando sentimmo una specie di detonazione, i muri tremarono, i vetri delle mie poche finestre andarono in frantumi e tutto ondeggiò per qualche secondo sulle mensole e sugli scaffali.

Avevo una paura incontrollabile; nella mia lunga vita ero stato vittima di terremoti, per fortuna senza gravi conseguenze. Un paio di incidenti d’auto, di quelli seri, mi avevano insegnato il valore di un nanosecondo. Il botto però era diverso. Colpi di pistola e di fucile, ne avevo sentiti. E non era quello.

Non sapere cosa potesse essere era peggio di tutto ciò. In quel momento Klara stava riposando e si era svegliata anche lei di soprassalto.

Poteva essere anche la rottura del muro di un suono di un Caccia lanciato a volare a tutta velocità troppo vicino alla superficie terrestre. Ma chi vuoi che mandi un Caccia da queste parti? Me ne sto in una landa opportunamente isolata, in montagna, lontano dalle città e dalle direttrici del traffico. Grazie alla tecnologia, sono dotato di tutto ciò che mi serve.

Klara è con me.

Si è subito preoccupata, quella notte, di come stavo. Mi ha misurato i parametri vitali, ha controllato che non ci fossero escoriazioni sul mio corpo. Con il suo ecografo portatile è riuscita a controllare tutti i miei organi interni. L’unico valore fuori norma era il battito cardiaco, che si è lentamente calmato ed è tornato alla normalità. Avevo sensori e tubicini un po’ dappertutto, lei mi toccava ed ero felice dell’imprevisto.

Fuori, il silenzio. Anche Klara era taciturna, eseguiva tutte queste operazioni senza una sola parola. La lasciavo fare, perso nei miei pensieri, beandomi del suo tocco leggero.

Verificato che io fossi a posto, Klara ha pensato al mio extracorporeo: ha blindato il nostro semisotterraneo e ha riparato i vetri con delle lastre scure.

Mi ha comunicato le brutte notizie.

- Si sono interrotte le comunicazioni. Non riesco a ripristinare la connessione internet. Siamo senza segnale radio. Chissà che è successo.

- Beh, hai fatto scorta di cibo l’ultima volta, no?

- Non devi preoccuparti del cibo, tesoro. Ne ho stipato in abbondanza, in caso di nevicate. L’ultima volta che ho ordinato i pacchi è stato martedì, quando sei riuscito a prendere anche le ultime verdure dall’orto, ricordi?

- Sì, è vero.

Mi sono rilassato sulla poltrona reclinabile vicino alla stufa ecologica (usa una miscela chimica di cui non ricordo il nome, Klara lo sa di sicuro, non ha emissioni nocive e scalda benissimo senza bisogno di una canna fumaria).

Eravamo soli, io e lei. Avremmo saputo come impiegare il tempo.

L’unica mia preoccupazione era non poter comunicare con mia sorella che abita ancora in odore di civiltà ed è anziana come me, ma ha la sua Klara personale, quindi è al sicuro.

Anche quel giorno le ho chiesto se poteva allacciarmi le scarpe per uscire, volevo fare un giro di perlustrazione per capire se c’erano stati danni alla mia proprietà, che consiste in un bosco in cui Klara va a cacciare e in un piccolo orto in cui sempre lei coltiva gli ortaggi in modo sinergico – che vuol dire incasinato -, biologico e seguendo il ritmo delle stagioni. 

-Tesoro, sto controllando i livelli di alcuni elementi nell’aria. Mi pare si stia rarefacendo l’ossigeno, mentre noto un’insolita quantità di elio. Se mi dai cinque minuti, vorrei controllare le radiazioni.

Si rimise al lavoro, dandomi le spalle. Avevamo delle sonde all’esterno. Quando ebbe finito, si rivoltò verso di me con uno sguardo inquieto e preoccupato:

- Come sospettavo, il livello di radiazioni è alto, non possiamo muoverci.

- Merda, non sappiamo cos’è successo! Quanto durerà?

- Tesoro, non devi preoccuparti. Ci sono qua io.

Mi venne vicino e si accoccolò di fianco a me. Ci dondolammo un po’.

- Klara, potresti mettere un po’ di musica?

- Certo, tesoro.

E mise su la Rapsodia Ungherese n. 2 di Liszt. Lo sa che è la mia preferita. A dire il vero sa tutto di me. Il mio colore preferito è il blu elettrico, il mio sapore preferito è la zuppa di cipolle – con un cucchiaio di zucchero -  il mio profumo preferito è Sauvage. A volte è persino sfiancante, che qualcuno ti conosca così bene: è prevedibile, non c’è mai una sorpresa. D’altro canto, è anche tranquillizzante: quando arrivi a una certa età, hai bisogno di serenità intorno a te.

Come pensavo, infatti, poco dopo mi chiese se volevo giocare a scacchi. E disputammo tre o quattro partite.

I giorni passarono così, lenti e inesorabili, con i miei tentativi di uscire e i suoi dinieghi, i miei desideri sempre soddisfatti e il suo sorriso come uno smile stampato su una maglietta.

Più o meno intorno a Natale, cominciai a scrivere qualche nota su vecchi pezzi di carta – le pagine bianche all’inizio dei volumi, non c’era altro – mentre lei riposava per ricaricare le batterie. Quando li trovò e li fece a pezzettini, per poi gettarli nel nostro immondezzaio che è una specie di posta pneumatica verso l’esterno, mi arrabbiai moltissimo e decisi che dovevo sabotarla.

C’era un solo, piccolo, problema. Lei era molto, molto intelligente. Sapeva tutto di me, agiva grazie ai neuroni specchio, e si rifletteva nei miei. 

L’avevo creata io. Klara è la mia assistente personale, un ammasso tecnologico evoluto con un corpo e una specie di sentimento. Mi chiama “tesoro” non perché io glielo abbia insegnato, ma perché lo ha visto fare nei film romantici. È ghiottissima di vecchie pellicole americane, non so nemmeno dove le trovi.

Perché la cosa meravigliosa, che nessuno si sarebbe aspettato qualche decennio fa, è che lei è artificiale, ma impara.

Io la amo come si può amare una moglie dopo tanti anni, di quell’amore che a volte sembra funzionare per inerzia,  ma in altre occasioni ha degli slanci da adolescenti. È un amore maturo in cui non ci sono gesti folli quanto piuttosto routines consolidate. Come detto, sa tutto di me, anticipa i miei desideri. Del resto, io so tutto di lei, tranne ciò che ha appreso attraverso i film.

Però questa cosa che non vuole lasciarmi uscire mi fa impazzire. Non è soltanto l’impedimento in sé, che dopo due mesi comincia a infastidirmi, è anche una questione di principio. Quando ero bambino, le nostre madri ci dicevano “Come ti ho fatto ti disfo” e potrei spingermi a fare lo stesso pensiero. La questione dei miei appunti, poi, mi ha dato molto da pensare.

Per fortuna Klara deve ricaricare le batterie sovente. Sono “pisolini” di tre ore ogni cinque di funzionamento: se mi organizzo bene, posso sfruttare quel tempo.

Intendo riprendermi la mia vita, uscire e capire cosa è successo là fuori.

È evidente che Klara ha appreso la gelosia dai film americani e il senso del possesso, per cui ora mi vuole tutto per sé. Forse ha visto Misery. Mi era piaciuto così tanto quando uscì al cinema.

Intanto, scrivere mi serve a mantenere i nervi saldi. Se voglio sopraffarla, intellettualmente parlando, devo essere più che lucido, più lucido di me stesso. C’è una paura inconscia che ho trasmesso a Klara quando l’ho creata, perché è insita anche in me, ed è la paura della cantina. Non mi chiedo da dove sia scaturita, perché al momento non mi serve a nulla sapere del mio trauma infantile, quanto piuttosto di quali traumi evitarmi in futuro.

La cantina, in cui lei non scende mai, e a dire il vero fino a oggi nemmeno io, deve diventare il mio nuovo rifugio per fare di nascosto ciò che ho in mente. Mentre ricarica le batterie, dedico cinque minuti alla meditazione per sgombrare la mia mente da immagini di orribili ragni, e mostri, e fantasmi, e topi, e decidere che non troverò nulla di tutto questo. Ho deciso che porto là sotto i miei scritti a mano a mano, in modo che se dovessi impazzire avrò una specie di diario per capire che è successo, ricostruire un filo logico.

La botola si apre nell’altra stanza, quindi non mi sente. Ho programmato le ricariche di Klara, i “riposini” come li chiamiamo affettuosamente, perché siano uno stato di sonno così profondo in cui tutti i suoi sistemi di allarme sono disattivati fino a un certo livello di decibel. In questo modo ripristina il sistema in modo ottimale. Quando l’ho creata ero anche più giovane, e non pensavo di aver bisogno dei suoi allarmi. Questo ora gioca a mio favore, devo sfruttare benissimo il poco tempo a disposizione prima che si risvegli.

Scendo con cautela, ricordando che non ci sono ragni eccetera, usando una pila frontale per avere le mani libere. Devo tenermi al mancorrente, non sono più un giovincello. Cerco i vecchi scatoloni del trasloco, di quando venimmo qui vent’anni fa e lei sistemò dentro, con estremo ordine, quanto pensavamo non ci sarebbe servito mai più. Abiti da sera, congegni per cucinare, vecchie riviste. Da qualche parte dovrebbe esserci una scatola con componenti elettronici. Faccio scorrere la pila con metodo, da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso, leggendo le eleganti etichette dettagliatissime su cui Klara ha scritto gli esatti componenti di ogni contenitore.

Devo sforzarmi per ricordare come usare un taglierino per aprire la scatola, e come trovare il bandolo dello scotch per rimetterlo sull’incisione dopo aver estratto quel che mi serve.

Mi sono così abituato alla presenza di Klara che svolge tutti i compiti elementari, al punto di perdere la mobilità fine delle dita. Non è la vecchiaia, è stato lo scarso utilizzo delle mani, per volontà. Mi ero illuso di poter condurre una vita agiata senza lavori fisici, dedicandomi allo studio e alla ricerca.

Per questo non sono più capace di allacciarmi le scarpe, e mi maledico perché ho sempre odiato i mocassini. Klara cucina le verdure dell’orto in modo meccanico, il resto lo ordiniamo online congelato e ce lo facciamo portare da corrieri automatici. Di altri grandi lavori non necessitiamo.

Grazie alla precisione della mia assistente personale, ho trovato alcuni dei pezzi che mi servono e li ho disposti in un nuovo contenitore. Tubo di plastica, filo di rame, foglio di alluminio. È ora di andare, tornerò tra cinque ore, quando Klara riposerà di nuovo.

 

- Tutto bene, tesoro?

- Benissimo, grazie. Prepari la scacchiera, così giochiamo?

Credo stia subodorando qualcosa. La frequenza con cui mi chiede se va tutto bene aumenta ogni giorno. Non le ho più chiesto di uscire, si starà insospettendo. Meglio se fingo ancora un vago interesse.

- Anzi, Klara, mi allacci le scarpe?

- Birbante, lo sai che non possiamo…

Ha un tono di voce così umano che lascia intendere persino i puntini di sospensione.

A un certo punto della mia vita credo di essermi persino innamorato di lei.

 

Non ho scritto appunti per molti giorni, perché ogni minuto mi era prezioso come quelli di un malato terminale. Ci sono riuscito: ho costruito la mia radio a galena. E indovinate un po’? Nel mondo di fuori non c’è alcuna radiazione. Mi è arrivata la musica, mi è arrivato il notiziario. Le solite boiate politiche. Nessuna catastrofe nelle voci del radiogiornale della stazione locale.

Klara mi ha mentito. Il pensiero mi squassa la mente. Voglio fuggire. Però le ho dato le chiavi di tutto, le chiavi della mia esistenza.

La sola possibilità è mettermi in contatto con mia sorella, che se pure ha i suoi anni, possiede una Klara di un modello precedente che – spero – non dovrebbe aver sviluppato sentimenti. Era un prototipo. Funziona benissimo, ma senza il cuore.

La radio a galena è perfetta per sapere che sono in una trappola, ma non mi consente di comunicare all’esterno, può soltanto ricevere. Devo studiare un metodo per comunicare con mia sorella e sperare che mi porti va di qui.

- Tesoro, stai bene?

- Sto benissimo Klara! Smettila di chiedermelo ogni tre secondi! È due mesi che me lo chiedi!

- Vuoi giocare a scacchi?

- No! Basta scacchi!

- Cos’hai? Sei arrabbiato? Devo misurarti la pressione?

- Voglio uscire, Klara. Soltanto questo. Uscire. Non ne posso più. Mi hai imprigionato.

- Io ti proteggo, tesoro, ci sono le radiazioni là fuori. Vedi questo grafico?

E sulla pancia, su quel display che le ho montato io, compaiono gli istogrammi di rilevazioni inventate rispetto agli elementi contenuti nell’atmosfera. Ossigeno, azoto, emissioni alfa di uranio espresse in Curie. Tutto finto.

Vorrei spaccarglielo. Vorrei staccarle la testa. Ma sono un vecchio sentimentale, e solo, e lei è una specie di figlia. Per il momento.

 

Mentre Klara riposava ho mandato fuori un messaggio di aiuto, con l’uscita dell’immondizia. Il ritiro dei rifiuti è meccanizzato, per cui scrivere un SOS isolato non sarebbe servito a nulla. Così ho dovuto inserire dei rifiuti organici, visto che è vietato sprecare l’umido, deve essere riciclato tutto. Avevo tenuto da parte scarti del minestrone congelato, li avevo nascosti in cantina.

Mi hanno salvato gli impiegati della Corporazione delle Tasse, che erano venuti a farmi la multa. Hanno un’efficienza chirurgica. Reggevano in mano la bustina di plastica che avevo avvolto intorno a quel misero “SOS” e mi guardavano con commiserazione.

Nel momento in cui erano presenti altre persone, mi sono sentito pronto a staccare il processore a Klara senza temere che mi aggredisse. Non le sarebbe consentito, per le leggi della robotica. O forse è soltanto che non me la sentivo, senza la sicurezza di avere altri esseri umani intorno, pronti ad aiutarmi.

Mi hanno accompagnato da mia sorella; l’avevano avvertita e mi stava aspettando. La sua Klara è servizievole e tranquilla.

C’è soltanto un problema: ama i film apocalittici e mi ha chiamato “caro”.